Valentina Colmi – Post Partum, mamme mai più depresse!

Valentina Colmi nel 2014, dopo la nascita della prima figlia, si è ammalata di depressione post-partum.
Dopo aver intrapreso un percorso di cura ed essere guarita ha deciso di rompere il tabù sulla depressione post-partum parlandone nel suo blog: post-partum.it e nei suoi canali social.

“Mamme, mai più depresse” è il suo motto: con le giuste cure dalla depressione post-partum si può guarire, si può tornare a stare bene e rinascere come madri e come donne.

Ciao Valentina, tu da anni ti impegni a testimoniare, rispondere, supportare e informare le donne che si ammalano di depressione post-partum, la tua rivoluzione gentile è grande. Il tuo impegno nasce dopo esserti ammalata a tua volta dopo la nascita di Paola, la tua prima figlia. Quando hai deciso di aprire il blog post-partum.it, quindi di fare parte del cambiamento, e perché?
Ho aperto il blog ad aprile 2014, praticamente un anno esatto dopo la nascita di Paola.
Ho deciso di farlo perché allora di depressione post partum se ne parlava ancora poco e io volevo far capire alle neo mamme che non si sarebbero mai dovute sentire sole o sbagliate se invece di provare felicità per l’arrivo dei loro figli sentivano tutto l’opposto. Purtroppo continua ad esistere una retorica della maternità che enfatizza solo il bello, come se diventare madre significasse provare unicamente emozioni positive.

Nel tuo blog il logo recita: “Mamme: mai più depresse” trovo importante dire subito che dalla depressione post-partum si può guarire se si ricevono le giuste cure. Qual è stato il tuo percorso?
Dopo tre mesi ho chiesto aiuto perché l’angoscia che mi attanagliava cresceva con il passare del tempo.
In realtà nessuno mi aveva guidato nella ricerca: dopo aver navigato un po’ in internet ho trovato un indirizzo che riportava tutti i centri specializzati nella cura della depressione post partum in Lombardia, dove abito. Ho mandato una mail e mi hanno richiamato, così è iniziato tutto. Il mio percorso è durato all’incirca 2 anni e ho fatto solo terapia, perché fortunatamente ho avuto una forma lieve.

Quante donne ti hanno scritto in questi anni e quali sono le paure e le domande ricorrenti?
Tante.
E paradossalmente vorrei che non fosse così, perché significherebbe che la depressione post partum non sarebbe più temuta. Mi hanno scritto donne da tutte le parti d’Italia, con estrazioni sociali differenti e con situazioni famigliari diverse. Eppure le domande che mi vengono poste, pur non conoscendosi ovviamente tra loro sono: “quando dura?”
“E quando hai capito di essere guarita?”
Direi quindi che la paura più grande sia quella di rimanere sempre nella stessa condizione.

Ci sono tante cose che nuocciono alle madri: l’idea che non abbiano mai bisogno di aiuto, l’idea che ogni donna appena partorisce diventa subito madre, l’idea che le neo mamme devono essere sempre felici e gioiose. Alcune cose sono dei veri e propri tabù che non si possono affrontare.
Per una nuova idea di maternità e di serenità della madre, secondo te, quali sono i tabù da abbattere e le cose da iniziare a dire, anzi urlare?
Secondo me il tabù più grande riguarda ancora la malattia mentale.
Perché in qualche maniera la si associa alla pazzia e quindi se hai bisogno dello psicoterapeuta o dello psichiatra automaticamente sei una persona pericolosa.
In realtà la depressione post partum è semplicemente una malattia e come tale va curata: diresti mai ad uno che si è rotto una gamba di farsi coraggio che poi passa? No, gliela fai ingessare. Invece quando la depressione colpisce la madre spesso questa non viene colta o minimizzata.
Si dice alla mamma che passerà, di smetterla, che ha voluto “la bicicletta” e quindi non deve lamentarsi o ancora la si accusa di essere pigra. Tutte cose che non sono vere: in realtà c’è una donna che soffre e che sta chiedendo aiuto ma spesso non viene ascoltata.

Hai scritto un libro per raccontare la tua esperienza “Out of the blue. Rinascere mamma”, come e quando è nato?
Il libro, che uscirà a breve in una nuova veste, è nato per condividere fino in fondo la mia esperienza di mamma che ha affrontato un momento di profonda difficoltà ma che poi ne è uscita, tanto da desiderare una nuova maternità.
Vuole lanciare un messaggio positivo a chi sta ancora male: voi non siete la vostra malattia, quello che provate e pensate non siete voi. E dopo tanto buio, ve lo posso assicurare, ci sarà una nuova luce.

Spesso in quel che scrivi ricorre la parola “rinascita” che è una parola potente, quante volte sei rinata? Hai avuto modo di seguire la rinascita di molte donne, ti capita spesso di ricevere messaggi di donne che sono rinate grazie al giusto supporto?
Guarda, credo che le tappe fondamentali siano state tre: il primo incontro con la mia terapeuta in seguito al quale ho capito che ero sulla strada giusta. Il secondo è stato quando è nata mia figlia Vittoria, chiamata così non a caso, proprio per testimoniare che la vita è più forte di tutto. E la terza quando è nata Agata Celeste, arrivata dopo due anni di tentativi e tre aborti molto sofferti. 
Per quanto riguarda le donne che mi hanno scritto: qualcuna mi ha ringraziato ma il mio ruolo credo sia soprattutto quello di ascoltarle e di non giudicarle, per far trovare loro il coraggio di chiedere aiuto.

Con il Covid la situazione per le madri è ulteriormente peggiorata, il carico già pesante dell’impegno domestico è aumentato, la dad, l’isolamento, la mancanza di spazi personali. Tu come lo vivi e l’hai vissuto questo momento?
L’anno scorso ero all’ultimo mese di gravidanza della mia terza figlia e l’ho vissuto con qualche paura e ansia legata ad una situazione di emergenza senza precedenti.
Ho partorito da sola e sono stata tutto il tempo in ospedale senza vedere nessuno.
Quest’anno che siamo chiusi in casa con tre figlie sicuramente siamo molto più stanchi perché dopo un anno di difficoltà è più dura.
La prima figlia è impegnata con la Dad, quella di mezzo cerca di passare il tempo giocando e facendo i lavoretti dell’asilo e l’ultima ha le esigenze di una bimba ancora molto piccola. Aggiungici che lavoriamo anche, quindi sicuramente non ci annoiamo!

Hai qualche consiglio per sopravvivere a questo momento? Hai iniziative da segnalare a supporto della salute mentale?
Oggi molti terapeuti fanno delle sedute anche on line quindi secondo me, pur non potendo uscire di casa, si può – anzi si deve – chiedere aiuto.
Post-partum ha anche un gruppo Facebook chiuso in cui le donne possono sfogarsi e raccontarsi con altre mamme che hanno passato le stesse vicende. Si tratta di un angolo di mutuo aiuto che secondo me fa molto bene, perché spesso quando una mamma  si trova in difficoltà pensa di essere la sola, mentre non è così.

Come riconoscere la depressione post-partum e come aiutare chi ne soffre?
La depressione post partum è una malattia che insorge dopo 4/6 settimane dal parto, prima si parla di baby blues, una condizione naturale dovuta al crollo degli ormoni in gravidanza. Sentirsi tristi dopo la nascita è normale e fisiologico per qualche tempo, ma se questa situazione si protrae bisogna cominciare a prestare attenzione.
A provocarla possono essere diversi fattori, come ad esempio una predisposizione famigliare alla depressione o all’ansia. Oppure ancora una gravidanza difficile o non desiderata, un aborto, un papà non presente.
Anche il rapporto con la propria madre incide inevitabilmente.
La depressione insomma non arriva dal nulla e la maternità è sicuramente un fattore scatenante.

Penso che ci siano solo due modi per aiutare chi ne soffre: ascoltare gli sfoghi di una neo mamma senza giudicare e indirizzarla in terapia. La famiglia, anche se vuole bene alla mamma, ad un certo punto non può più aiutarla e questa non è una sconfitta: può capitare, non è colpa di nessuno.

Per una neo-mamma chiedere aiuto non è semplice, spesso è la stessa famiglia, per fortuna non sempre, a minimizzare e non capire la portata del problema.
Per fortuna io non ho sofferto di depressione post-partum ma so bene quanto i giudizi siano pesanti e quanto sia difficile per una neo mamma anche solo dire: “sono stanca”, “oggi vorrei solo dormire” “oggi vedo solo la fatica”.  Se va bene ti rispondono: “goditeli che poi crescono in fretta” “e allora perché li hai fatti” oppure “allora aspetta che crescono, ora è semplice”.
Secondo te, perché c’è così poca comprensione ed empatia per le madri?
 
Se leggi sul dizionario la definizione di madre la prima cosa che troverai sono tre aggettivi “tenera, affettuosa, premurosa”. Perché questo è ciò che ci si aspetta da una donna: che indossi sempre un bel sorriso, che non perda mai la pazienza, che cucini torte tutto il giorno e che giochi in continuazione con i suoi figli.
In realtà spesso le mamme sono stanche, come dici tu, e ne hanno anche le scatole piene di giocare tutto il giorno o vorrebbero semplicemente parlare con un adulto e non solo con dei neonati che piangono e fanno la cacca a ciclo continuo.
Eppure la retorica della maternità, dell’idea di una madre santa che tutto può e tutto sa e che soprattutto si sacrifichi per la prole continua ad esistere.
Perché c’è una narrazione della gravidanza e dell’essere mamma infarcita di bugie: tutte hanno i loro momenti di buio, ma questo non significa non amare i propri figli. Anzi, il rapporto mamma bambino è come qualsiasi altra relazione della nostra vita in cui ci sono momenti più belli e momento più sfiancanti. Se lo si accetta, se si accolgono queste parentesi per quello che sono, si eviterebbe molto dolore. Per fortuna però oggi le cose stanno cambiando e le donne hanno molta meno paura di chiedere aiuto. E di questo sono molto orgogliosa.

Mi lasci un SII GENTILE in bottiglia anche tu?
Secondo te che messaggio hanno bisogno di sentire le neo mamme, oggi?

Sii gentile con una neomamma: accoglila quando è triste, aiutala anche quando non te lo dice apertamente. Falla sentire importante: perché davvero lo è.

LA GENTILEZZA CHE CRESCE è un ciclo di interviste per dare voce a chi, in questo momento, è la foresta che cresce e si impegna per migliorare la realtà in cui vive.

Credo fermamente che in un mondo gentile si viva, e si lavori, meglio!
Per anni ho promosso la gentilezza usando parole e disegni ma so di non essere sola, anzi.
Tantissime persone lavorano in silenzio allo scopo di aiutare gli altri, rompere l’isolamento, creare un senso di comunità, confortare o supportare.

Con LA GENTILEZZA CHE CRESCE voglio dare voce a chi si impegna, far conoscere le storie di persone che un giorno hanno deciso che si sarebbero messe in gioco per fare qualcosa di buono per gli altri.
Le storie ispirano, infondono coraggio, sono uno sprone.
Parlare di gentilezza in modo generico è bello ma non ha la potenza di una storia come questa.

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